Oggi fioccano auguri, mimose, frasi fatte.
È la Festa della Donna.
Ma che senso ha festeggiare il femminile se il patriarcato è ancora il soffitto, le fondamenta e perfino l’aria che respiriamo?
Il patriarcato non è solo negli abusi e nelle violenze eclatanti. È nei dettagli, nei silenzi, nelle mani che interrompono, negli sguardi che pesano, nei “non esagerare” detti con un sorriso. È nelle domande sbagliate ai colloqui di lavoro. Nei complimenti che non sono complimenti. Negli spazi occupati senza accorgersene. Nelle scelte che non sembrano scelte. È nei ruoli dati per scontati.
È anche nelle donne, perché nessuno ne è immune. È nelle battute che minimizzano, nelle distanze che si tengono senza accorgersene, nel “ma io non ho mai avuto problemi”, come se l’esperienza individuale potesse cancellare la struttura.
E allora, oggi, che senso ha dire “auguri”?
Forse ne ha solo se lo trasformiamo in un atto di consapevolezza.
Se smettiamo di pensare che la questione riguardi solo le donne e cominciamo a vedere che il patriarcato danneggia chiunque. Perché quando il femminile viene sminuito, l’equilibrio si spezza. E senza equilibrio non c’è libertà, né per le donne né per gli uomini.
Auguri allora a chi sceglie di vedere.
A chi si fa domande scomode.
A chi smette di chiedere alle donne di essere “forti” e comincia a chiedere agli uomini di essere consapevoli.
A chi sa che non basta non essere il problema, bisogna diventare parte della soluzione.
A chi, oggi, non si limita a regalare fiori, ma semina spazio, ascolto e cambiamento.
Buon 8 marzo. A tutte, a tutti, a tuttə.

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