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Il mito e il pino

Il prossimo weekend vede come tema del Sumi-e Experience Workshop, il pino giapponese e la luna. Due soggetti che evocano moltissime simbologie, divinità e significati.

Vorrei soffermarmi sul pino, e anche se andremo a rappresentarlo attraverso l'estetica ed il gusto giapponese, voglio invitarti a scoprire il mito che noi occidentali riponiamo in lui.

È affascinante scoprire i simboli dell'oriente, ma questo non deve farci scordare che anche noi abbiamo una storia ricca di simboli e miti, che talvolta possono risultare più adeguati nella nostra ricerca personale proprio perché appartenenti alla nostra cultura, e quindi già dentro di noi.


Il pino per noi occidentali è collegato alla divinità di Attis.

Nella mitologia il Pino è l’albero in cui viene trasformato Attis, protagonista insieme a Cibele di una delle storie più intricate del mondo mitologico, ma anche più potenti.

Il modo in cui lo sentivano gli antichi ci dice molto sulla sua energia.


Il mito di Attis è antichissimo, rappresenta movimenti primordiali inconsci e risale ai tempi in cui dio era una donna, la Grande Madre Terra.


Dal libro “Planetario” di Alfredo Cattabiani:


ll mito di Attis narrava che sulla frontiera della Frigia vi era, nei pressi di Pessinonte, una

scogliera deserta chiamata Agdos, dove si adorava Cibele in forma di roccia.

Papas, il dio del cielo, poi assimilato a Zeus dai mitografi greci, si era innamorato della dea. Un giorno, tentando invano di unirsi a lei, sprizzò il suo seme che cadde sulla roccia. Secondo un’altra versione, egli emise il seme nel sonno. La roccia, fecondata, generò un androgino, Agdistis, così selvaggio e indomabile da preoccupare gli dei.

Un giorno essi decisero di castigare la sua tracotanza incaricando dell’arduo compito Dioniso.


C’era nelle vicinanze una sorgente alla quale Agdistis soleva dissetarsi quando era accaldato, durante le lunghe cacce nei boschi. Dioniso, che aveva il compito di separare la virilità da lei, ne tramutò l’acqua in vino. Agdistis bevve l’insolita bevanda cadendo in un sonno invincibile; ed il dio, che stava in agguato, ne approfittò per legare con una fune il suo membro maschile a un albero.

Quando Agdistis si fu destato dall’ebbrezza, balzò in piedi con uno slancio così poderoso che permise alla fune di evirarlo, mentre un fiotto di sangue inondava la terra: sangue magicamente fecondo che dal terreno sorse un melograno con un frutto.

Un giorno, Nana, la figlia del dio fluviale Sangarios, che si trovava a passeggiare in quel luogo, vide una melagrana pendere da un arbusto. La fanciulla colse il frutto e la mise nel grembio: ma la melagrana sparì improvvisamente fecondando l’ignara principessa.


Sangarios, sdegnato, fece imprigionare la figlia come donna disonorata, condannandola a morir di fame, ma Agdistis la nutrì con frutta e cibi divini finchè ella partorì un bambino.

Il dio fluviale, irremovibile, fece esporre il neonato, che sarebbe morto se non fosse stato nutrito da un caprone con un suo misterioso “latte”. Lo si chiamo Attis, perché nella lingua lidica un bel bambino si diceva attis o forse perché in quella frigia il caprone era detto attagus.

Attis divenne un giovinetto così bello da fare innamorare Agdistis.

La selvaggia divinità lo accompagnava sempre a cacciare per i boschi. Un giorno, il re Mida di Pessinonte decise di dargli in moglie la figlia Atta. Mentre si celebravano le nozze, comparve improvvisamente Agdistis che, al suono di una siringa, il flauto dei pastori sacro a Pan, scatenò la follia fra tutti i presenti. Attis prese a vagare per la radura stracciandosi le vesti e gemendo finchè, afferrato un pugnale rituale, si evirò sotto un pino e dissanguato morì. Dal suo sangue colato sul terreno fiorirono viole mammole.


Agdistis, pentita ed addolorata, chiese a Zeus di resuscitare Attis, ma ottenne soltanto che il suo corpo non si decomponesse mai, che i capelli continuassero a crescere e il dito mignolo rimanesse vivo e si movesse.

Secondo un’altra versione, Attis si era trasformato in un pino sempreverde.

Infine, Agdistis trasportò il corpo (o il pino) a Pessinonte dove lo seppellì, fondando un collegio di sacerdoti e indicendo una festa in suo onore. La versione del pino divenne poi quella accettata, tant’è vero che cantava Ovidio: “Il pino dall’ispido capo e dalle succinte chiome, caro alla madre degli dei, se è vero che il cibeleo Attis per lei si spogliò della sua figura d’uomo indurendo in quel tronco”.


Il pino evoca l’Albero Cosmico ed il passaggio dal manifestato al non manifestato.

Il pino è ermafrodito: produce fiori sia maschili sia femminili.

In aprile-maggio, quando si aprono gli amenti maschili, il vento diffonde il loro abbondante polline giallo su tutto il terreno circostante, quasi fosse una nube fertilizante.


A questo link puoi iscriverti al workshop e ti ricordo che se lo hai già fatto, puoi tornare a frequentarlo gratuitamente ( scopri tutto).


Ti aspetto

Filippo


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