“Mio figlio. Lo sguardo già altero mi sfida. Poi, un sorriso ineguale mi spiega che stavi scherzando. Mia piccola fiera, non avrai domatori.”
Ho ritrovato molto tempo fa questa poesia di mio padre in un vecchio taccuino. La conservo nel cuore come un tesoro prezioso, un piccolo specchio che, con la semplicità dei versi, riflette chi sono. O meglio, chi sono stato e chi continuo a essere. È una di quelle immagini che non smettono mai di risuonarti dentro, come un’eco che torna sempre, ma ogni volta con una sfumatura nuova.
Riconosco quello sguardo altero di cui parla. Non lo vedo da fuori – non so se chi mi guarda lo percepisce – ma sento distintamente il modo in cui a volte mi attraversa. È una sensazione di forza, di distacco, quasi di sfida. Come un istinto che sale, un’energia che vuole dichiarare la propria esistenza, senza compromessi.
E poi c’è quel sorriso. Quel sorriso ineguale, che non si lascia mai spiegare del tutto, che si forma quasi da solo. Quando il cuore si muove, quando quella fiera che mi porto dentro si quieta per un istante e lascia spazio al gioco, all’ironia, alla leggerezza. Non mi vedo sorridere, ma lo sento. È un sorriso che sa mettere radici nel momento, senza chiedere il permesso.
Ma è alla fine che quei versi mi colpiscono più a fondo. “Non avrai domatori.” Quante volte questa frase è stata per me un peso e una grazia, insieme. Perché sì, è vero: non ho domatori. Non li voglio e non potrei averli, nemmeno se lo desiderassi. C’è una parte di me, indomabile, che sfugge, che non si piega mai del tutto, nemmeno di fronte a me stesso. E questa è una forza, un dono. Un’eredità, forse.
Ma essere indomabile porta con sé una responsabilità. È facile pensare che basti vivere liberi, senza vincoli, ma la libertà ha un costo. Richiede un coraggio costante, una vigilanza che non si può mai abbassare del tutto. Significa sapere che nessuno ti guiderà, che non c’è una strada tracciata, che devi essere sempre tu a scegliere. E scegliere, ogni giorno, non è semplice.
Non è semplice essere una fiera. Non è semplice accettare che non ci siano domatori a farti cambiare direzione quando sbagli, né a darti conforto quando ti senti perduto. Ma forse è proprio questo che rende tutto così potente, così autentico.
Sono immensamente grato a mio padre per aver visto questa fiera in me, per averla accolta senza volerla domare. È stato il suo dono, questo specchio poetico, e continua a essere il mio faro quando mi sento smarrito.
Forse non avrò domatori, ma ho imparato che la vera forza è nell’accettare la propria natura, con tutto il suo splendore e le sue difficoltà. Essere indomabili è un atto d’amore verso se stessi, perché non c’è nessuna libertà più grande di quella che nasce dal cuore.
E così, oggi, se mi guardo nello specchio della poesia di mio padre, vedo quel sorriso ineguale e sorrido anch’io. Perché riconosco quella fiera, e per quanto sia difficile, la scelgo ancora.
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