La vita di ognuno e ognuna di noi, si compone di un susseguirsi di eventi che nel tempo determinano e definiscono la nostra unicità. Non sempre sappiamo rispondere a questi.
Talvolta a seconda della loro potenza o criticità, restiamo a percepirci spaesati e vulnerabili.
Spesso si attiva in automatico un processo del tutto mentale che vuole indagare le origini, trovare un responsabile, scavare nelle cause, iniziando così a creare spazio alla paura delle conseguenze.
Dimenticando e rimuovendo la possibilità certa di un fine.
La mente non è disponibile a lasciare il controllo. La mente ha paura di perdere la sua posizione di comando. Così ci induce ad analizzare, a sezionare, a scannerizzare ogni più piccolo dettaglio nell'intento di arrivare a una risposta che possa darci indicazioni per una possibile soluzione.
Per distoglierci dall'idea che l'evento abbia un fine e che noi ci si affidi, incamminandoci così in una direzione che andrebbe a sbugiardarla.
Comprendere, dal latino: composto di cum con e prehendere prendere.
La connotazione etimologica ci sottolinea che questo avviene sempre con un mezzo ben preciso - ora l'intelletto, ora il cuore, ora un abbraccio.
Pertanto non è possibile attraversare indenni un evento inaspettato se non opponiamo con forza, resistenza alla reazione automatica della nostra mente. Che tende a separare il visibile dall’invisibile, a giudicare e valutare secondo parametri squisitamente analitici: buono, cattivo, giusto, sbagliato...
separandoci dal mistero della vita e dalla fede. Che non necessariamente vede una divinità come destinatario. Non occorre aderire ad un credo per avere fede.
Quanti innumerevoli eventi abbiamo attraversato nella nostra vita, con dolore, fatica, tensione, per poi renderci conto che le immagini spaventose degli stessi erano frutto unicamente della paura della nostra mente. Rivelandosi invece poi come benedizioni vere e proprie, verso cui proviamo ancora oggi gratitudine.
Nel weekend del 16 e 17 gennaio, praticheremo insieme il Sumi-e Experience Workshop sul tema del bambù. A questo link puoi iscriverti e ti ricordo che puoi tornare a frequentarlo gratuitamente se lo hai già fatto ( scopri tutto).
Ho trovato questa storia che attraverso le sue metafore mi ha ispirato questo post e con piacere la condivido. Il protagonista è il bambù, ma volendo...😉
A presto
Filippo
In un magnifico giardino cresceva un bambù dal nobile aspetto.
Il Signore del giardino lo amava più di tutti gli altri alberi. Anno dopo anno, il bambù cresceva e si faceva robusto e bello. Perché il bambù sapeva bene che il Signore lo amava e ne era felice.
Un giorno, il Signore si avvicinò al suo amato albero e gli disse:
“Caro bambù, ho bisogno di te”.
Il magnifico albero sentì che era venuto il momento per cui era stato
creato e disse, con grande gioia:
“Signore, sono pronto. Fa' di me l'uso che vuoi”.
La voce del Signore era grave:
“Per usarti devo abbatterti! ”
Il bambù si spaventò:
“Abbattermi, Signore? Io, il più bello degli alberi del tuo giardino?
No, per favore, no! Usami per la tua gioia, Signore, ma per favore, non abbattermi”.
“Mio caro, bambù”, continuò il Signore, “se non posso abbatterti, non posso usarti”.
Il giardino piombò in un profondo silenzio. Anche il vento smise di soffiare. Lentamente il bambù chinò la sua magnifica chioma e sussurrò:
“Signore, se non puoi usarmi senza abbattermi, abbattimi”.
“Mio caro bambù”, disse ancora il Signore, “non solo devo abbatterti, ma anche tagliarti i rami e le foglie”.
“Mio Signore, abbi pietà. Distruggi la mia bellezza, ma lasciami i rami e le foglie! ”.
Il sole nascose il suo volto, una farfalla inorridita volò via.
Tremando, il bambù disse fiocamente: “Signore, tagliali”.
“Mio caro bambù, devo farti ancora di più. Devo spaccarti in due e
strapparti il cuore. Se non posso fare questo, non posso usarti”.
Il bambù si chinò fino a terra e mormorò: “Signore, spacca e strappa”.
Così il Signore del giardino abbatté il bambù, tagliò i rami e le foglie,
lo spaccò in due e gli estirpò il cuore. Poi lo portò dove sgorgava una fonte di acqua fresca, vicino ai suoi campi che soffrivano per la siccità.
Delicatamente collegò alla sorgente una estremità dell'amato bambù e
diresse l'altra verso i campi inariditi.
La chiara, fresca, dolce acqua prese a scorrere nel corpo del bambù e
raggiunse i campi. Fu piantato il riso e il raccolto fu ottimo.
Così il bambù divenne una grande benedizione, anche se era stato abbattuto e distrutto. Quando era un albero stupendo, viveva solo per se stesso e si specchiava nella propria bellezza.
Stroncato, ferito e sfigurato era diventato un canale, che il Signore usava per rendere fecondo il suo regno.
Noi la chiamiamo “sofferenza”. Dio la chiama “ho bisogno di te”.
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